Mensch und Maschine vereint

An der ETH Zürich tüfteln Forscher an Hightech-Prothesen. Wie weit die Forschung ist und was Bach damit zu tun hat, erklärt ETH-Professor Robert Riener.

Testo: Clau Isenring

Immagini: Filipa Peiixeiro

3 min

08.11.2019

Quando il corpo e la tecnologia si fondono per facilitare la vita quotidiana delle persone con mobilità ridotta, i ricercatori del Laboratorio per i sistemi sensomotori del Politecnico di Zurigo sono al lavoro. La sua visione: insegnare alle protesi a sentire.

Capacità sovrumane grazie all'esoscheletro?

Gli esoscheletri o le protesi che conferiscono capacità sovrumane esistono soltanto nei film», tiene subito a precisare Robert Riener, professore presso il Politecnico federale. Secondo l’esperto di robotica, il supereroe che attraversa sacco in spalla per giorni il deserto senza stancarsi mai apparterrà ancora per molto al genere fantastico. Non da ultimo, perché dopo mezz’ora le batterie sono esaurite.

Gambe passive, braccia attive

Esempio di protesi di gambe: Le gambe artificiali, ad esempio, si muovono solo passivamente oscillando ad ogni movimento della persona che le porta. «Persino le protesi futuristiche nello sport agonistico si basano soltanto su una semplice e robusta tecnica composta da molle elastiche ultraleggere», sottolinea Robert Riener.

Andando in salita o salendo le scale questo principio passivo costituisce tuttavia un handicap, perché in questi casi il ginocchio artificiale dovrebbe poter produrre forza. "Esistono già protesi di ginocchio Essere attivi", spiega Riener, "ma costano fino a 80.000 franchi svizzeri e la tecnologia non è ancora abbastanza matura".

««Ci vorrà ancora molto tempo prima che un pianista con la protesi alla mano riuscirà a suonare Bach.»

Robert Riener
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Sapere cosa fa la protesi

Le protesi per gli arti superiori sono invece già oggi molto più high-tech. Da una parte perché con le braccia e le mani si eseguono movimenti più complessi per cui serve una propria forza motrice. Dall’altra però anche perché è meno grande il rischio di farsi male. «Se la mano artificiale fa cadere un bicchiere di vetro, non è tanto pericoloso come una caduta per colpa di una protesi inaffidabile al ginocchio», illustra Riener la differenza. Esistono infatti già oggi protesi per le braccia dotate di molti motori in grado di muovere il polso e le dita singolarmente. Tramite il collegamento di elettrodi viene misurata la tensione dei muscoli nel moncone e tradotta in movimento della protesi.

I comandi del cervello raggiungono pertanto già la protesi. In direzione contraria, la comunicazione dalla protesi al cervello risulta invece più difficile. In altre parole, chi non vede la propria protesi non sa se la mano artificiale sta formando un pugno o è aperta. Una sfida per Riener e il suo team: «In laboratorio sperimentiamo con protesi ed esoscheletri che segnalano il movimento sulla pelle o addirittura nel corpo. In questo modo si sente il movimento.»

Sensazioni artificiali

A proposito di sensazioni: un altro campo di ricerca si dedica alle protesi delle dita ad alta tecnologia in grado di trasmettere ai nervi le caratteristiche morbide, grezze o fini di una superficie. Gli impulsi elettrici provenienti dalle punte delle dita artificiali devono così stimolare i nervi nel modo giusto, altrimenti già accendere un fiammifero diventerebbe un compito titanico perché la forza delle dita non potrebbe essere dosata correttamente. Robert Riener non demorde: «Ci vorrà ancora molto tempo prima che un pianista con la protesi alla mano riuscirà a suonare Bach. Ma ci stiamo lavorando.»

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