Dossier: Mentalmente forti

Sindrome dell’impostore: merito tutto questo successo?

Aver raggiunto il successo solo grazie alla fortuna e al caso: di questo sono convinte le persone che soffrono di sindrome dell’impostore. La paura di essere smascherati come truffatori li accompagna costantemente, a volte con conseguenze devastanti. Come riconoscerne i sintomi e come affrontarli.

Testo: Michelle de Oliveira; foto: iStock

Un successo dopo l’altro, i superiori e il team sono pieni di elogi, il feedback dei clienti è buono, la carriera è in ascesa. Eppure c’è quella vocina che ci dice: «In realtà non sono capace. E tra non molto se ne accorgeranno anche gli altri che ho bluffato. Sono completamente sopravvalutato, ho solo avuto fortuna e un buon tempismo.»

Ognuno di noi nutre di tanto in tanto dei dubbi su di sé. Tuttavia, se esiste una chiara discrepanza tra il successo oggettivo e la propria percezione delle competenze personali, gli esperti parlano di una cosiddetta auto-svalutazione. Il termine «sindrome dell’impostore», spesso utilizzato, è fuorviante. «Dopo tutto, non si tratta di una malattia, ma piuttosto di un tratto della personalità», afferma Sonja Rohrmann, docente di psicologia differenziale e diagnostica psicologica presso l’università Goethe di Francoforte sul Meno e autrice di un libro sull’argomento.

Il termine del fenomeno dell’impostura è stato coniato dalle psicologhe Pauline Rose Clance e Suzanne Imes negli anni ’70. Avere dubbi su di sé è qualcosa di comune: «Si presume che circa la metà delle persone di successo ne sia affetta», afferma Rohrmann; sia donne che uomini, ma soprattutto persone che oggettivamente non hanno motivo di esserlo. Il problema è che, anche dopo tanti successi, continuano a sentire quella vocina dentro di loro. 

Le strategie delle persone colpite

Spesso, chi ne soffre sviluppa due strategie: o si immerge completamente nel proprio lavoro in preda a un perfezionismo folle, cercando di evitare possibili fallimenti con sforzi esagerati. O inizia a rimandare i compiti e a portarli a termine solo all’ultimo momento, per poter poi dare la colpa alla mancanza di tempo, in caso di un eventuale fallimento. Alla fine, entrambe le strategie portano alla stessa conclusione: «Questa volta ce l’ho fatta per un pelo, la prossima volta mi smaschereranno di sicuro.»

Non credono che la prossima volta le cose potrebbero andare di nuovo bene e che il successo potrebbe avere a che fare con il proprio talento. Entrano in un vero e proprio circolo vizioso. Chi è così assorbito dal proprio lavoro rischia di sovraffaticarsi e di riposare poco, e spesso trascura le relazioni, la famiglia e gli amici. 

Fattore scatenante dell’auto-svalutazione

Si ritiene che diverse cause scatenino il fenomeno dell’impostore, ad esempio alcune caratteristiche della propria personalità. Chi ha una bassa autostima o un pronunciato perfezionismo è più probabile che si senta un impostore o un imbroglione.

D’altra parte, le dinamiche familiari e gli stili educativi giocano un ruolo decisivo: se i buoni risultati vengono elogiati in modo particolare, questo può portare il bambino ad avere la sensazione di essere amato solo per i suoi successi e non per chi è. Oppure a un fratello o una sorella può essere attribuito il ruolo di «bambino intelligente», mentre il bambino che svilupperà la sindrome dell’impostore viene visto come il bambino carino, empatico o sociale.

«Gli individui che tendono ad auto-svalutarsi spesso percepiscono le loro capacità come atipiche rispetto a quelle dei loro familiari», spiega Sonja Rohrmann. «Ad esempio, se nessuno in famiglia ha studiato, ma la persona sta perseguendo una carriera accademica, possono sorgere dubbi sulle proprie competenze.»

Se, poi, la quotidianità viene determinata da pensieri come: «Ho raggiunto il successo ingiustamente, fallirò al prossimo compito, tutti gli altri sono molto più competenti e non credo negli elogi altrui», è probabile che si soffra della sindrome dell’impostore.

Come uscire dalla sindrome dell’impostore

E poi? «La terapia più efficace consiste nel riconoscere il problema», afferma Sonja Rohrmann. «Per molte delle persone colpite è quindi sufficiente attuare misure di auto-aiuto.»

Può, quindi, essere utile mettere per iscritto i successi e i progressi. Così non si rischia di dimenticarli e li rende più facili da valutare in modo realistico. Inoltre, bisognerebbe accettare le sfide nonostante i timori e parlarne con amici, familiari, colleghi e colleghe e superiori per costruire un’immagine realistica di sé stessi. E un’altra buona notizia: spesso, questo bisogno di auto-svalutarsi tende ad affievolirsi con l’età e il continuo successo.

Tuttavia, chi è gravemente compromesso nella propria vita quotidiana e ha un’enorme paura di fallire e un forte senso d’inferiorità, che potrebbero evolvere in depressione o burn-out, dovrebbe prendere in considerazione la psicoterapia. L’obiettivo è costruire un senso interiore di autostima che funzioni indipendentemente dalle valutazioni degli altri e sia commisurato al successo oggettivo.

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